L’aria condizionata non è un capriccio: quando il vicino può (e non può) dire no

Il principio: comfort sì, abuso no

Cronaca di una lite estiva: condizionatori, rumore, gocciolii, estetica ferita. Ma la linea del diritto è meno umorale del termometro.
L’art. 843 c.c. consente l’accesso temporaneo al fondo del vicino se serve a costruire o manutenere un’opera e non ci sono alternative ragionevoli.
Tradotto: la proprietà resta sacra, però non diventa barricata quando un intervento tecnico è necessario, circoscritto, reversibile.
Il punto è sempre lo stesso: bilanciare. Da una parte il godimento dell’abitazione – e oggi il clima artificiale non è lusso, è standard –
dall’altra l’assenza di pregiudizi reali al vicino: immissioni sonore o di calore oltre la soglia, stillicidio, danni alla facciata,
o la disponibilità di soluzioni meno invasive e meno costose.

Il caso veneto e il metro da usare

La Corte d’Appello di Venezia (sent. 31 luglio 2025, n. 2677) ha messo i paletti con chiarezza:
in assenza di divieti nel regolamento condominiale o nelle norme comunali, l’unità esterna può stare sulla parete dell’edificio.
Qui i macchinari erano sulla parete est, affacciata sul fondo del vicino: per installarne e manutenerne altri, serviva passare da lì.
Alternative concrete? Nessuna, se non ipotesi costose e sproporzionate – rimuovere e sostituire i motori già presenti,
spendendo migliaia di euro oltre IVA – che peraltro avrebbero comunque richiesto l’ingresso sul fondo per lo smontaggio.
La CTU non ha rilevato immissioni rumorose o termiche intollerabili; l’altezza da terra (circa 4,5 metri) e le modalità operative
(trabattello, uno-due giorni, niente ostacoli al transito) hanno fatto il resto.
Nemmeno il “danno estetico” regge, in un contesto urbano già segnato e con macchine su parete condominiale, non sul fondo altrui.

La bussola è economica prima che giuridica: minor sacrificio complessivo. Lo ricorda anche la giurisprudenza di legittimità
(Cass. civ., sez. II, 30 giugno 2021, n. 18555): l’uso del fondo del vicino si ammette solo se i lavori non si possono fare
in altro modo, sul proprio o su terzo, con minore impatto. Stesso spartito nel Tribunale di Napoli (11 luglio 2025, n. 6982):
il giudice verifica necessità dell’accesso e liceità dell’opera, poi pesa gli interessi contrapposti.
È un test di proporzionalità, non una gara di nervi estivi.

Morale pratica – e qui lo stile Beluffi consente una chiosa secca: il vicino può dire “no” solo quando il “sì” gli costa troppo,
in termini oggettivi e verificabili. Se non ci sono alternative sensate, se i livelli di rumore e calore restano nel tollerabile,
se il passaggio è breve, programmato e non lascia cicatrici, la porta si apre.
L’aria condizionata non redime gli agosti, ma il buon senso giuridico può salvare i rapporti di vicinato.
Il resto è rumore di fondo.